domenica 1 novembre 2015

COME APPRENDIAMO?I METODI PER QUALIFICARE L'INSEGNAMENTO



Gli allenatori giovanili debbono conoscere le basi pedagogiche dell’insegnamento per poter assicurare che il progetto didattico arrivi al destinatario e realizzi positivi adattamenti
In realtà colui che si appresta a svolgere una così delicata funzione dovrà saper integrare le sue conoscenze (competenze) con la capacità di adattarle alle esigenze degli allievi. Al fine di ottenere un'effettiva crescita delle abilità dei giovani. L'organizzazione delle attività però dovrà sempre far riferimento a criteri ben precisi e cioè ai metodi applicativi. Ma cerchiamo di capire cosa si intende per metodo. "Esso è un procedimento logico e mentale o culturale o tecnico o pratico che segue un percorso. Esclude pertanto ogni improvvisazione empirica e generica e presuppone una ricerca delle condizioni ottimali, di un qualsiasi insegnamento, che viene intrapresa sul piano della didattica pedagogica, e successivamente tradotta sul piano della metodica specifica”.
In questa sede non vogliamo soffermarci sulle varie classificazioni, sui metodi didattici che ampiamente sono riportati nelle trattazioni specializzate, ma cercheremo di far riferimento alla nostra effettiva esperienza che scaturisce da decenni di attività nei settori giovanili.
Il nostro approccio (Singer, 1984 in D’Ottavio 1994) si basa essenzialmente sulla consapevolezza di alcuni elementi fondamentali che guidano quotidianamente il lavoro sul campo:
• la complessità del compito, intendendo per essa il numero delle informazioni sensoriali, la variabilità dell'ambiente di gioco, e i collegamenti con la memoria;
• I'organizzazione del compito, si riferisce alle difficoltà tecnico-coordinative e quindi al sincronismo o all'eterocronismo dei vari elementi che compongono il gesto o l'azione, riguardante le risposte motorie in genere.
Ad esempio per fronteggiare un problema che presenta:
• complessità del compito scarsa
• organizzazione del compito facile
potranno essere utilizzati metodi che tengano più conto della totalità del gesto e non delle sue particolarità (metodo globale); per contro invece, nel caso ci si trovi ad affrontare una situazione che presenta caratteristiche di:
• complessità del compito elevata
• organizzazione del compito con difficoltà medio-alta.
L'approccio dovrà essere impostato per sequenze (metodo analitico), verificando costantemente sia le particolarità che i collegamenti, senza perdere però di vista l'insieme gestuale o comunque l'azione nella sua espressione globale. Deve essere tenuto in considerazione che l'approccio analitico e quello globale possono essere proposti dall'insegnante procedendo con modalità e forme di rapporto con gli allievi sostanzialmente diverse:
1. l'allievo viene sollevato totalmente o parzialmente dal fornire interpretazioni personali del problema. È l'insegnante che decide per lui (procedura deduttiva).
2. l'allievo viene coinvolto nell’elaborare una propria idea a proposito del problema da risolvere, e si procede per prove e tentativi (procedura induttiva).
Il primo crea adattamenti più corretti e rapidi e ci sembra più favorevolmente correlato ad abilità sportive di tipo "chiuso" (closed skills). Il secondo, basato su una dimensione creativa dell'allievo, può essere considerato come una forma di investimento nel medio periodo, dato che inizialmente sembra allentare i processi di automatizzazione, ma in seguito permette una migliore trasformazione e un proficuo collegamento verso apprendimenti successivi. Questo procedimento è sicuramente più adatto ad abilità sportive di tipo "aperto" (open skills) e quindi decisamente consigliabile nella pratica calcistica.
 Esperienze dirette su cui sono state utilizzate le citate metodologie su due gruppi campione di bambini di 11 anni praticanti il calcio presso la Scuola Calcio Federale dell'Acquacetosa di Roma, dopo un anno di attività (s.s. 1992) hanno fornito le seguenti indicazioni:
• la pratica del metodo guidato (relativamente all’esecuzione individuale dei gesti tecnici) ha prodotto considerevoli miglioramenti sia con i soggetti che inizialmente mostravano già di possedere un buon livello tecnico sia con quelli inizialmente poco competenti;
• la pratica del metodo del problem solving ha condotto a un sostanziale miglioramento dei soggetti con maggiore insufficienza tecnica e un minore ma comunque ragguardevole incremento sui bambini già tecnicamente dotati.
Questa nostra esperienza conferma in parte quanto affermato da Singer nel suo studio, e cioè che l'utilizzazione di metodi più direttivi produce sicuramente maggiori profitti tecnici in una visione a breve termine, ma potrebbe condurre ad una stasi o comunque a degli impedimenti nelle situazioni in cui l'allievo viene a trovarsi a risolvere delle problematiche di gioco inusuali e impreviste.
Una pratica che coinvolga l'allievo sul piano della creatività personale e della partecipazione attiva offre maggiori opportunità espressive e quindi una maggiore potenzialità all'adattamento. Ciò è anche confermato da una nostra ulteriore esperienza: ad un gruppo di bambini di 9/10 anni per circa quattro mesi di lavoro con frequenza bisettimanale, sono state impartite unità didattiche utilizzando esclusivamente metodi che prevedevano la soluzione di problemi. La programmazione didattica prevedeva che alla fine di questo primo ciclo dell'anno i bambini avessero disputato esclusivamente partite giocate 7 contro 7 oltre alle altre esercitazioni e situazioni di gioco a carattere formativo. Quindi abbiamo invitato alcune società a disputare degli incontri amichevoli con le nostre rappresentative giocando però 11 contro 11. Una volta spiegata la nuova impostazione numerica di gioco e le diverse possibilità tattiche i bambini, superati i primi cinque minuti di evidente adattamento, sembravano aver sempre giocato ad undici, confermando quanto era inizialmente nella nostra ipotesi sperimentale.
Per controllare l'andamento del programma didattico seguendo la logica temporale, abbiamo suddiviso l'intero periodo (anno sportivo) in tre fasi o periodi didattici, proponendoci il raggiungimento di determinati obiettivi intermedi.
Il metodo utilizzato per raggiungere tali obiettivi, e il cosiddetto "metodo misto", realizzato attraverso l'utilizzo del metodo induttivo (problem solving), e del metodo deduttivo (apprendimento guidato).

Compito di ogni istruttore è anche quello di evidenziare, (correggere e valorizzare) il risultato di ogni azione o gesto dell’allievo, poiché il miglioramento avviene attraverso la presa di coscienza dei successi e degli insuccessi.
La prima domanda che ogni allenatore deve affrontare è quando deve intervenire. Infatti poniamo che un giovane calciatore, in una esercitazione, commette un errore; per eliminarlo, indichiamo una sequenza ragionata:
1. osservazione e identificazione dell'errore;
2. decisione se intervenire o no (qualità dell'errore, sua importanza ai fini dell'apprendimento del gesto) in considerazione del livello del giovane calciatore e delle caratteristiche personali del ragazzo (lento nell'apprendere, timido, ecc.).
Se la decisione è di intervenire:
a) rinforzare l’impegno e quanto di corretto vi è stato nell’esecuzione;
b) fornire un’istruzione tecnica correttiva specifica;
c) in presenza di una "ripetizione" osservare l'esecuzione;
d) in presenza di una informazione specifica, osservare il ragazzo: osservare se si tratta di una risposta istintiva o se il movimento e stato appreso;
e) osservare in ambedue le scelte come il ragazzo ha usato l'intervento.
Vogliamo ancora sottolineare che per ogni apprendimento è importante capire quello che è successo cioè sfruttare il feed-back (la risposta sensoria, la percezione motoria dell'azione eseguita). Una performance non si migliora senza il feed-back.
Il secondo modo d’intervenire è quello che consiglia l'istruttore di partire dalle situazioni concrete di cui servirsi per iniziare la sequenza didattica.
I momenti sono tre:
1. illustrazione, spiegazione, fare vedere o, mentre si spiega, fare vedere la situazione; preoccuparsi che l'obiettivo sia ben compreso;
2. "osservazione dello svolgimento" cercando di verificare: i problemi che ci sono e se questi sono legati a deficienze individuali o collettive o a entrambe; le cause e se queste dipendono da problemi tecnici, relazionali o affettivi;
3. "intervento" chiarendo attraverso l'autovalutazione effettuata dai giovani calciatori quali sono i problemi, introducendo modelli diversi, analizzando le strategie e infine modificando la situazione, per ricominciare il percorso da una situazione modificata.
Un ultimo principio da aggiungere, e al quale ogni istruttore si deve attenere, riguarda: dare un titolo ad ogni proposta operativa, affermando all’inizio di ogni seduta d’allenamento: "oggi faremo"; abbiamo constatato che la semplice titolazione aumenta di più del doppio la comprensione dell'argomento.
Il compito didattico dell'istruttore inizia dalla spiegazione della situazione concreta che dovrà essere affrontata durante l’esercitazione. I mezzi più usati sono: il modello e la spiegazione verbale, oppure l’integrazione fra le due modalità. Crediamo opportuno precisare che:
Guardare non è osservare: bisogna che ogni istruttore indichi ai giovani calciatori "cosa osservare" e indicare, secondo il livello, solamente le cose importanti. L'esecuzione deve essere eseguita prima al ritmo giusto, poi più lentamente.
Parlare non è spiegare: se l'istruttore usa il linguaggio come mezzo didattico deve focalizzare l'obiettivo in maniera semplice ma precisa.
Se dimostra e spiega contemporaneamente: deve curare particolarmente la parte verbale costruendo frasi brevi con obiettivi semplici. É stato infatti osservato che, in queste situazioni, la spiegazione verbale è "sempre incompleta e poco precisa".
Di fronte ad una "esecuzione errata" di qualche giovane calciatore, l’istruttore deve pensare che ci può essere un errore di comunicazione, e preoccuparsi di cambiare immediatamente approccio.
Esempio: un giovane non riesce ad eseguire in maniera corretta il movimento delle braccia nello stop di petto. Dopo che l’istruttore ha fatto vedere il movimento e lo ha spiegato, la possibilità che gli rimane per far raggiungere il successo all'allievo è quella di cambiare strategia di approccio; può allora far "sentire" il movimento esatto facendolo eseguire passivamente (approccio cinestesico). Per aumentare la sensibilità il principio è quello di intervenire "toccando" le articolazioni interessate (intervento tattile). È prassi che nelle fasi iniziali dell’apprendimento si usi far sentire la zona interessata attraverso il contatto col pallone; ad esempio il punto esatto dell'interno piede nel caso del calcio specifico; le mani per far apprendere la presa del portiere (sono esempi di uso delle vie tattili per raggiungere l'apprendimento di un gesto). Altri fanno presa sull'anca, muovono, come un pendolo, la gamba svincolata e chiedono di sentire il movimento.
Sempre determinante per l'apprendimento è il clima che esiste nel gruppo: se è positivo diventa un alleato importante per il passaggio delle informazioni tra istruttore/allievi e allievi/allievi, se è negativo diventa un ostacolo.
Caruso in una ricerca fatta nel 1980 ha catalogato due tipi di allenamento descrivendo i fattori che creano il "clima emotivo".
• Il primo esempio si potrebbe definire: una lezione partecipata attiva con un clima emotivamente caldo.
• Il secondo esempio invece è una lezione in cui predomina la noia e il disinteresse (clima emotivamente freddo).
La risposta dei ragazzi è nel primo esempio la partecipazione, nel secondo il distacco. Analizzando i contenuti e le diversità possiamo affermare che non sono le innovazioni né le dimostrazioni (vengono poco avvertite) che determinano le variazioni di clima, ma la partecipazione, la motivazione ad apprendere, l'incoraggiamento.
Un tipo di allenamento che abbia come caratteristica quella descritta nel primo esempio è un’esperienza per la quale l'attività sportiva diventa una occasione importante e interessante da vivere. Nel secondo caso, l'esperienza perderà di significato e prima o poi sarà abbandonata.
Sia le parole che il silenzio hanno un valore di messaggio: influenzano gli altri e costoro, a loro volta, possono non rispondere a queste comunicazioni. Una sola unità di informazione è chiamata messaggio. Ogni messaggio contiene una notizia e un comando. Un esempio di messaggio: "è importante che tu spinga sulla gamba"; oppure "spingi sulla gamba". Sono due frasi che danno la stessa informazione ma con due diversi comandi.
Ogni rapporto tra istruttore e giovane calciatore varia a secondo della percentuale tra notizia e comando; ogni variazione di messaggio fa presupporre una variazione nel rapporto. Ad esempio nel primo caso t’informo su come devi effettuare un tiro, mentre nel secondo ti sto dicendo che devi farlo in quel modo.
Nelle strategie di rapporto tra istruttore-gruppo e allenatore-squadra l'impostazione viene data anche dal come il tecnico si mette in comunicazione con i ragazzi.
Definiamo, come esempio, due figure di allenatori.
Allenatore autoritario: l'impostazione che offre con il linguaggio (anche del corpo) impone un certo tipo di rapporto in cui abbondano i comandi rispetto alle informazioni. Nel gruppo i rapporti sono impostati su un rispetto formale.
Il rapporto non prevede possibilità di compiere degli errori, se qualcosa non funziona (la squadra perde), la colpa è sempre degli altri (arbitro, giocatore X o Y, sfortuna); ma anche durante l'allenamento se il ragazzo non migliora, la colpa è senza dubbio del ragazzo.
Il limite di questo tipo di rapporto sta nel fatto che se viene meno in maniera abbastanza costante il successo, il nemico esterno non è più sufficiente, allora il rapporto finisce e l'autorità viene messa in dubbio. Dobbiamo dire però che fin quando tutto va bene, gli obiettivi proposti vengono raggiunti facilmente.
Allenatore autorevole: nel rapporto verbale le informazioni saranno superiori ai comandi. Deve sapere far accettare le sue competenze, e potranno sorgere nel gruppo conflittualità o disordini più apparenti che sostanziali perché il rapporto è meno formale. Dato che è importante "imparare ragionando", un rapporto in cui le individualità non vengono schiacciate dall'"Allenatore-Padrone", determinerà a lungo termine risultati superiori.
Le strategie facilitanti il rapporto istruttore-giovane calciatore sono:
• Mettersi nella condizione di avere più possibilità d’intervento (non trovarsi mai nella situazione di avere una sola soluzione);
• non essere sempre valutativi;
• non essere classificatori.
Cioè non dire: "devi fare così e basta" ma "credo che tu debba fare così"; non dire "non capisci nulla" ma "dovresti fare..."; non dire "guarda gli altri, non vedi come sono più bravi" ma "bene, cerca però di evitare...".
Una volta che gli istruttori si sono preoccupati di aver dato le informazioni nel miglior modo possibile, il loro compito non si è esaurito. Infatti non è detto che sia sufficiente dare uno stimolo corretto perché questo produca un cambiamento e tanto meno che questo sia nella direzione desiderata.
Le proposte devono essere adeguate e l'istruttore lo nota attraverso le risposte dei giovani calciatori. In un piano di "allenamento" le proposte per l'apprendimento di un gesto vanno dosate sulle risposte degli allievi.
Ma le proposte sono importanti e la loro adeguatezza determinante:
L'intervento didattico (la correzione) è inefficace se le richieste non rispettano i livelli di apprendimento.
Ad esempio, se un giovane sta imparando il calcio di esterno piede, non possiamo chiedere la precisione del tiro. Ogni fase di apprendimento ha le sue caratteristiche.
Questi due concetti rappresentano altrettanto importanti principi pedagogici che devono caratterizzare continuamente la programmazione didattica dei bambini delle Scuole Calcio, in special modo dai 6 ai 9-10 anni.
Essi stanno ad evidenziare che l’allievo dovrà ampliare il più possibile la propria dotazione base di conoscenze dei movimenti, cercando di arricchire, quantitativamente e qualitativamente, lo scarso potenziale di esperienze di cui può disporre un bambino di 6-7 anni.
I principi didattici di polivalenza e multilateralità devono ovviamente essere intese in riferimento al carico di attività cui i bambini vengono sottoposti. Per cui, anche praticando un'attività motoria che utilizzi gesti ed azioni del gioco del calcio, l'insegnante dovrà comunque non trascurare questi due aspetti.
Polivalenza significa che le attività devono essere adattate in maniera tale da interessare le diverse aree di sviluppo della personalità dell'individuo:
• area intellettivo-sociale
• area morfologico-funzionale
• area motoria
Da ciò deriva che il presupposto basilare affinché il coinvolgimento dell'alunno presenti una valenza polidirezionale, sarà che i contenuti delle lezioni dovranno essere scelti in funzione dello sviluppo delle tre aree sopraelencate e quindi utilizzando, a discrezione dell'insegnante, le metodologie più indicate.
Multilateralità, al contrario di unilateralità, è il principio secondo il quale le attività fisiche non devono limitarsi ai caratteri presenti in un solo specifico sport, ma allo scopo di migliorare la motricità generale, devono utilizzare gesti ed azioni di altre discipline sportive.
Solo procedendo così, gli allievi potranno: sviluppare maggiormente le capacita motorie; strutturare una vasta gamma di schemi motori di base, sia statici che dinamici; affinare e riadattare continuamente lo schema corporeo (in relazione allo sviluppo morfologico); consolidare la lateralità, anche e soprattutto in funzione di costruirsi capacità di ambidestrismo.
Ci sembra allora opportuno evidenziare che il calcio, in fase di avviamento sportivo, è solo uno dei tanti mezzi per raggiungere questi obiettivi, mentre la formazione di abilità specifiche si costruisce in un secondo momento (11-12 anni) e solo sulla scorta di esperienze motorie che siano state le più ricche possibili.

In considerazione delle peculiarità dello sviluppo delle azioni di gioco, il processo di formazione dei giovani calciatori deve senza dubbio basarsi proprio su di esse: ossia sulla continua variabilità delle situazioni, l’interdipendenza tra azioni individuali e azioni degli altri componenti della squadra e l’instabilità del contesto complessivo.
Gli elementi significativi da utilizzare nell’educazione tattica sono:
• la capacità di percepire e raccogliere le informazioni (attenzione selettiva)
• la capacità di comprensione del gioco (ed elaborazione di un programma)
• la capacità di scelta (decisione) e l’effettuazione
Quanto illustrato evidenzia con forza che nell’apprendimento tattico è decisivo il coinvolgimento cognitivo degli allievi allo scopo di renderli protagonisti del loro apprendere. Ecco un esempio.
L’azione dell’allenatore si articolerà nel seguente modo:
• propone una situazione di gioco o un gioco con un determinato obiettivo, gli allievi s’impegnano nel trovare le soluzioni più idonee;
• stimola la ricerca della soluzione a cui si trovano più vicini;
• pone quesiti per polarizzare la ricerca in una determinata direzione: “cosa hai visto?” “cosa sarà opportuno fare?”
• osserva i comportamenti dei ragazzi e interviene con nuove e mirate domande: “perché?” “come?” “quando?” “ti sei reso conto che...?”
• provoca la ricerca di altre soluzioni: “che altro si poteva fare?” “cosa poteva mettere più in difficoltà l’avversario?”
• sottolinea i successi parziali dei singoli giocatori.
Risulta così evidente che l’allenatore svolge una azione facilitatrice nella ricerca della soluzione, senza fornirla in modo diretto.
Affinché il giocatore possa passare da un gioco istintivo a uno intenzionale e organizzato, dobbiamo richiedergli quindi di analizzare, elaborare e comprendere con continuità i vari significati dei diversi elementi presenti nel gioco. Infatti la memorizzazione della fase finale dell’atto motorio separata dall’analisi delle difficoltà affrontate dal giocatore, non risulterà realmente efficace perché il soggetto in questione non sarà in condizione di riconoscere gli aspetti significativi del gioco.  Se i nostri allievi non sono abituati a saper leggere il gioco durante l’allenamento il loro sforzo di memorizzazione sarà concentrato sul gesto tecnico. Se l’allenatore vuole che i suoi allievi accelerino il loro gioco, nel corso delle sedute deve porre l’accento sulla rapidità di percezione, comprensione e decisione.
Ribadiamo ancora una volta che è la libertà di scelta che favorisce la maturazione del giovane calciatore e che determina i suoi progressi. Un ragazzo che non pensa o che si limita ad eseguire senza le proprie elaborazioni le indicazioni del suo allenatore, non potrà esprimere compiutamente il suo potenziale tattico che anzi risulterà, nel peggiore dei casi, fortemente inibito.
L’utilizzo di tale metodologia indurrà in sostanza il giovane calciatore a: essere calmo e sereno nell’affrontare le novità e le difficoltà, ad avere fiducia nei propri mezzi, ad avere un buon spirito di iniziativa, ad essere coinvolto pienamente nelle dinamiche del gioco, e a non aver paura di sbagliare.