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martedì 16 gennaio 2018
GENITORI:LE REGOLE PER ASSISTERE ALL'ALLENAMENTO
Lo sappiamo, e ormai non ci facciamo più caso, la tendenza odierna è spettacolarizzare lo sport in ogni suo aspetto, dal mirabile gesto tecnico al più banale movimento in campo. Tutti devono sapere ed essere dappertutto così da alimentare il “mito” della condivisione sportiva totale. Tutto, per conseguenza, deve essere percepibile e visibile da tutti, più che sportivi appassionati stiamo diventando dei guardoni e dei “sentoni”. Questa smania di protagonismo e presenzialismo nel vivere lo sport si riflette inevitabilmente, fatte le debite proporzioni, anche sulle realtà calcistiche minori e, a cascata, sui genitori, dirigenti e allenatori che vi sono coinvolti. Ciò finisce per influenzare il delicato equilibrio che ogni squadra deve gestire tra il versante pubblico nel quale si espone al giudizio degli altri, e il versante privato, dal quale gli esterni dovrebbero essere esclusi. Un indicatore di questo fenomeno è la presenza sempre più frequente dei genitori non solo alla partita ma anche agli allenamenti dei loro figli.
LA PRIVACY DELLA SQUADRA
Di per sé l’allenamento, come e ancor di più accade per lo spogliatoio, dovrebbe appartenere alla “sfera privata” di una squadra. È un momento in cui sono messe a nudo difficoltà e punti da rinforzare, vengono alla luce gli errori commessi, si affrontano nuove situazioni e soluzioni di gioco. Certo non è simpatico farlo sotto gli occhi di osservatori esterni soprattutto se sono i genitori. Per contro, tuttavia, fa piacere seguire ed essere seguiti nel lavoro tecnico tattico, mostrare il proprio impegno e le proprie qualità come fanno gli altri compagni, tutti assieme, in un momento in cui si è tutti equivalenti senza preoccupazioni di formazione o sostituzioni.
Che fare allora? Consentire la presenza ai genitori oppure vietarla? Possiamo immaginare che i pareri e le esperienze al riguardo siano diversi. In effetti gli allenamenti diventano spesso un’area di confine tra pubblico e privato, dove finiscono per scontrarsi il diritto dell’allenatore a lavorare, anche a riprendere i giocatori se è il caso, e il diritto del genitore a poter seguire il figlio e i suoi progressi. Occorre equilibrio, chiarezza e lucidità. Quello che non funziona, sicuramente, sono le prese di posizione, le scelte rigide, inflessibili, in un senso o nell’altro.
Si dunque alla presenza dei genitori, ma non sempre. Non prima o dopo gare delicate, e solo dopo aver chiarito e condiviso alcune condizioni. Niente commenti tecnici a voce alta, nessuna valutazione sugli esercizi e rispettare una certa distanza dal campo.
Se ben impostata, la presenza e il comportamento di mamme e papà può essere occasione di dare e sperimentare regole anche per gli stessi genitori. Che bello sarebbe se le sedute di lavoro settimanali fossero, anche per loro, un allenamento a ben comportarsi nel corso della partita.
(fonte:allfootball)
IMPARATE A PERDERE, PER VINCERE
Nessuno si fa allenare da qualcuno che reputa peggiore di sé. È una
della regole non scritte ma ineluttabili della pratica sportiva. Vale
anche nel rapporto genitori - figli, in ambito sportivo. Nessuno si fa
educare da qualcuno di cui non ha sufficiente stima, fosse anche il papà
o la mamma. Occorre dimostrare dunque, anzitutto a se stessi come
genitori e poi ai giovani, di avere qualcosa da dare che i figli non
hanno ancora. Ecco perché il genitore che contribuisce alla propria
crescita, contribuisce anche alla crescita dei suoi ragazzi.
Un aspetto molto complicato su cui padri e madri dovrebbero “allenarsi” è quello di saper perdere. Non stiamo parlando di accettare le inevitabili sconfitte dei propri ragazzi sul campo. Parliamo di quello che è, per il genitore, l’esito della partita più importante, il riuscire ad accettare la loro emancipazione. Il successo in questo caso sta paradossalmente nella capacità di saperli perdere, accettare di doversene separare. Lo sappiamo bene: l’avviamento dei nostri ragazzi allo sport comporta sempre l’insorgere di una reciproca distanza emotiva. E molto spesso i genitori vanno in fuorigioco. Nelle dinamiche che si instaurano alcuni mancano di sincronia, altri sbagliano il “movimento incontro”, altri ancora “rientrano in gioco” troppo tardi. Come superare la tentazione di trattenerli oltremisura invadendo i loro spazi? Come non farsi prendere da crisi di gelosia verso l’allenatore? E, viceversa, come evitare di abbandonarli a loro stessi, “rei” solo di maggior desiderio di autonomia? Sono tutti aspetti legati all’imparare a saperli perdere, accompagnandoli verso il loro futuro. Non si tratta di un processo rapido e indolore ma di un percorso, da provare e riprovare, contraddistinto da una dinamica che si sviluppa in tre tempi.
ACCETTARE UN TERRENO DI CONFRONTO
Prima ancora che la partita abbia inizio, le squadre si dispongono in campo. Il terreno di gioco è uguale sia per chi gioca in casa che per gli ospiti. Le misure delle porte, per esempio, non cambiano perché si è la squadra ospitante o quella ospitata. È però importante, anzi necessario, che entrambe le accettino così come sono, sono una delle condizioni del confronto. La differenza, nello sport e in educazione, la fa l’esperienza e la qualità del gioco: non il campo. Accettare il confronto significa pertanto accettare di affrontarsi sullo stesso terreno di gioco, uguale sia per i genitori che per i figli. Per un padre o una madre a volte ciò non è facile. Sono abituati a crescere i figli, non a doversi confrontare con loro. Se è pur vero che le responsabilità degli adulti sono maggiori, perché il confronto possa produrre i frutti sperati essi devono accettare di condividere lo stesso perimetro di gioco. Sviluppare la capacità di ascoltare, parlare avendo rispetto delle opinioni dei ragazzi, dare valore al loro punto di vista.
VIVERE LA PARTITA DELL’ALLONTAMENTO
Un aspetto molto complicato su cui padri e madri dovrebbero “allenarsi” è quello di saper perdere. Non stiamo parlando di accettare le inevitabili sconfitte dei propri ragazzi sul campo. Parliamo di quello che è, per il genitore, l’esito della partita più importante, il riuscire ad accettare la loro emancipazione. Il successo in questo caso sta paradossalmente nella capacità di saperli perdere, accettare di doversene separare. Lo sappiamo bene: l’avviamento dei nostri ragazzi allo sport comporta sempre l’insorgere di una reciproca distanza emotiva. E molto spesso i genitori vanno in fuorigioco. Nelle dinamiche che si instaurano alcuni mancano di sincronia, altri sbagliano il “movimento incontro”, altri ancora “rientrano in gioco” troppo tardi. Come superare la tentazione di trattenerli oltremisura invadendo i loro spazi? Come non farsi prendere da crisi di gelosia verso l’allenatore? E, viceversa, come evitare di abbandonarli a loro stessi, “rei” solo di maggior desiderio di autonomia? Sono tutti aspetti legati all’imparare a saperli perdere, accompagnandoli verso il loro futuro. Non si tratta di un processo rapido e indolore ma di un percorso, da provare e riprovare, contraddistinto da una dinamica che si sviluppa in tre tempi.
ACCETTARE UN TERRENO DI CONFRONTO
Prima ancora che la partita abbia inizio, le squadre si dispongono in campo. Il terreno di gioco è uguale sia per chi gioca in casa che per gli ospiti. Le misure delle porte, per esempio, non cambiano perché si è la squadra ospitante o quella ospitata. È però importante, anzi necessario, che entrambe le accettino così come sono, sono una delle condizioni del confronto. La differenza, nello sport e in educazione, la fa l’esperienza e la qualità del gioco: non il campo. Accettare il confronto significa pertanto accettare di affrontarsi sullo stesso terreno di gioco, uguale sia per i genitori che per i figli. Per un padre o una madre a volte ciò non è facile. Sono abituati a crescere i figli, non a doversi confrontare con loro. Se è pur vero che le responsabilità degli adulti sono maggiori, perché il confronto possa produrre i frutti sperati essi devono accettare di condividere lo stesso perimetro di gioco. Sviluppare la capacità di ascoltare, parlare avendo rispetto delle opinioni dei ragazzi, dare valore al loro punto di vista.
VIVERE LA PARTITA DELL’ALLONTAMENTO
Il
distacco non avviene come quando si strappa un cerotto: un dolore
intenso al momento che poi passa. La separazione tra genitori e figli è
paragonabile a un lungo campionato fatto di molte partite, alcune delle
quali si vincono, altre si perdono o pareggiano. Si tratta di giocare ad
affrontare e sperimentare l’allontanamento reciproco, partita dopo
partita, attaccando e difendendo a seconda delle circostanze e delle
energie disponibili con le tattiche più congeniali. Ogni azione non è
che un episodio, una piccola tappa del lungo cammino che porterà a
separarsi. Questo consente ai genitori di comprendere meglio cosa sta
cambiando in loro, come la vivono, quanto si sentono preparati, sapendo
che il processo avviene ogni volta, e richiede anni di allenamento.
STRINGERSI LA MANO AL TERMINE E RI… CONOSCERSI
La separazione ed emancipazione tuttavia non sono le ultime fasi del percorso. Come accade al termine di una gara corretta, i giocatori alla fine si ritrovano al centro del campo per stringersi la mano, talvolta abbracciarsi. È un importante gesto di riconoscimento reciproco. Saper (ri)conoscere il figlio come altro da sé è la condizione per (ri)trovarsi, e sperimentare che quanto si pensava perduto è in realtà recuperato, seppure in modo diverso. L’ultima tappa è il nuovo incontro fatto di (ri)conoscimento e gratitudine reciproci, entrambi attraverso uno sguardo diverso. Si tratta di una grandissima ricompensa che giustifica l’aver attraversato tante situazioni ed esperienza delicate, inclusi momenti di incomprensione e conflitto.
(fonte:allfootball)
STRINGERSI LA MANO AL TERMINE E RI… CONOSCERSI
La separazione ed emancipazione tuttavia non sono le ultime fasi del percorso. Come accade al termine di una gara corretta, i giocatori alla fine si ritrovano al centro del campo per stringersi la mano, talvolta abbracciarsi. È un importante gesto di riconoscimento reciproco. Saper (ri)conoscere il figlio come altro da sé è la condizione per (ri)trovarsi, e sperimentare che quanto si pensava perduto è in realtà recuperato, seppure in modo diverso. L’ultima tappa è il nuovo incontro fatto di (ri)conoscimento e gratitudine reciproci, entrambi attraverso uno sguardo diverso. Si tratta di una grandissima ricompensa che giustifica l’aver attraversato tante situazioni ed esperienza delicate, inclusi momenti di incomprensione e conflitto.
(fonte:allfootball)
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