martedì 29 dicembre 2020

CALCIO, BAMBINI E PSICOLOGIA VINCENTE

 

Il calcio che i bambini praticano appartiene a loro e basta. Fino a quando noi adulti rispetteremo il loro modo di viverlo, finché non lo valuteremo usando i canoni di quello dei grandi allora il calcio dei bambini è al sicuro. In caso contrario poniamo questo spazio di gioco e crescita di fronte a un grande rischio: la contaminazione da negatività di tutti quelli che lo ritengono uno sport “malato”. La vicenda calciopoli, per esempio, ha inciso negativamente sulla mentalità di noi tutti, lo scetticismo e la delusione che ha generato ha contaminato il nostro modo di pensare questo meraviglioso sport. Come possiamo rendere il calcio dei giovani un prato dove germoglierà un futuro roseo se siamo scettici nel piantare i semi?

IL LORO CALCIO LO FACCIAMO NOI

Dobbiamo essere consapevoli che il “loro” calcio lo facciamo noi, mediante il nostro stato d'animo e la qualità delle emozioni che mettiamo in campo quando lavoriamo con e per i giovani. La consapevolezza di come con il nostro umore e con le nostre emozioni influenziamo la vita dei bambini è la base per qualsiasi apprendimento psicopedagogico al quale ci si appresti. Dobbiamo essere per loro un punto fermo. Un faro in mezzo all'oceano delle esperienze e delle situazioni del quotidiano che consenta loro di orientarsi pur guidando da soli la loro vita. Un faro investito dalle onde che rimane ritto e irremovibile guida capace di orientare anche in caso di tempesta.

PER ESSERE MIGLIORI INVESTITE PER PRIMA SU DI VOI

In famiglia e in campo noi adulti abbiamo la responsabilità di connotare l'ambiente emotivo nel quale i bambini crescono, tale ambiente è fatto delle nostre emozioni, che loro respirano. Per questo affermo che i genitori e gli istruttori, per garantire ai bambini e agli adolescenti di cui si occupano un ambiente adeguato alla loro crescita, devono investire prima di tutto su loro stessi. Ognuno di noi deve cercare il modo migliore per conoscersi e per stare bene di conseguenza. Se si ha a che fare con dei bambini l'investimento migliore per essere un buon educatore è quello su se stesso. Vi è mai capitato mai di arrivare al campo trafelati perché avete avuto un problema, un fastidioso intoppo (per esempio un guaio alla alla macchina) e mentre cercate di allenare pur presi dal nervosismo di ciò che è accaduto uno dei vostri allievi vi abbia chiesto "mister che c'è l'hai con me?". Se i bambini ci vedono pensierosi la prima spiegazione che si danno sul nostro atteggiamento, soprattutto se sono piccoli, è che il nostro malumore sia causato da loro. Ciò vale anche per i genitori. In taluni casi quindi affermare che è tutto a posto non serve. È auspicabile dire la verità e spiegare il motivo per cui siamo nervosi o assorti nei nostri pensieri.
fonte:allfootball

 

giovedì 3 gennaio 2019

CALCIO E SCUOLA? NESSUN CONFLITTO

Sbaglia chi pensa che studio e sport non possano convivere in armonia. L’amore e il tempo dedicato al pallone non sono un limite per l’istruzione dei nostri figli.

Tempo fa un papà mi ha rivelato che suo figlio prima di entrare in campo (anche se ha fatto tutti i compiti prima di allenarsi) è spesso agitato perché la maestra gli dice che il calcio toglie spazio alla scuola. Non è la prima volta che sento un genitore esprimere delle perplessità simili. Maestre e maestri in qualche caso valutano l’attività sportiva come una fonte di distrazione, deleteria per l'impegno scolastico. Questa presa di posizione è provocata da una forma mentis assai diffusa in base alla quale il calcio viene visto come una… “illusione” che toglie spazio a progetti futuri più realistici. Chi la pensa così ritiene che i giovani, dedicando tempo allo sport, non investano in modo proficuo nella loro vita. A me, in realtà, vengono subito in mente degli esempi di uomini e donne (non solo calciatori) che hanno acquisito un ottimo grado di istruzione nonostante fossero sportivi di grande livello. Vi ricordate, per esempio, il grande e compianto Socrates, giocatore della nazionale brasiliana negli anni ’80? Laureato in medicina era soprannominato per questo “il dottore”, una persona molto colta.

INCORAGGIAMOLI A VIVERE IL CALCIO CON SERENITÀ
Conosco peraltro tantissimi uomini, affermati ex calciatori in gioventù, che si sono realizzati successivamente nella vita in professioni brillanti. Ogni bambino, come qualsiasi essere umano, dovrebbe avere lo spazio per il lavoro e il dovere più un altro per sfogarsi e in questo coltivare una passione, nutrirsi di vita. Uno sport vissuto con entusiasmo consente ai giovani di tollerare meglio tutto ciò che accade nella loro quotidianità. Ho suggerito quindi al papà di incoraggiare il figlio a non preoccuparsi e, nel momento in cui entra in campo, non pensare a niente: la passione per qualcosa non toglie spazio a nulla. Anzi, dentro di lui deve e dovrà sempre riservare un posto per ciò che lo fa stare bene.

NON SOLO LA SCUOLA È MAESTRA DI VITA
La scuola “addestra” i bambini all'impegno oltre che a formarli dal punto di vista educativo e culturale. A volte questo è un impegno che li stanca, come a noi stanca il lavoro e le incombenze della giornata risolte correndo a destra e a manca. Siamo noi adulti i primi a non dover dimenticare quanto abbia valore sapersi ritagliare uno spazio, ogni giorno, per una passione da coltivare. Andare in palestra, cucinare una torta, fare una corsetta al parco o leggere qualche pagina di un libro: uno spazio all’interno del quale ricaricarci. Se siamo in grado di crescere i bambini con questa mentalità e farla diventare col tempo una loro consapevolezza faremo di loro delle persone capaci di amare sé stesse prima di ogni altra cosa. Nella loro vita scuola e calcio possono convivere armoniosamente. Dobbiamo sostenerli ed essere capaci di aiutarli a trovare il giusto equilibrio fra dovere e piacere riuscendo noi per primi a impreziosire con momenti goliardici e divertenti gli impegni e le incombenze quotidiane. Non dobbiamo far altro che far sorridere quel bambino dentro di noi che non smetterà mai di aver voglia di giocare.
 fonte:ALLFOOTBALL

domenica 7 ottobre 2018

IMPARATE A PERDERE, PER VINCERE

Lo sport ci insegna a lasciar andare i figli, con difficoltà e anche sofferenza, per ritrovarli diversi alla fine di un percorso che può regalare gratificazioni immense. 

Nessuno si fa allenare da qualcuno che reputa peggiore di sé. È una della regole non scritte ma ineluttabili della pratica sportiva. Vale anche nel rapporto genitori - figli, in ambito sportivo. Nessuno si fa educare da qualcuno di cui non ha sufficiente stima, fosse anche il papà o la mamma. Occorre dimostrare dunque, anzitutto a se stessi come genitori e poi ai giovani, di avere qualcosa da dare che i figli non hanno ancora. Ecco perché il genitore che contribuisce alla propria crescita, contribuisce anche alla crescita dei suoi ragazzi.
Un aspetto molto complicato su cui padri e madri dovrebbero “allenarsi” è quello di saper perdere. Non stiamo parlando di accettare le inevitabili sconfitte dei propri ragazzi sul campo. Parliamo di quello che è, per il genitore, l’esito della partita più importante, il riuscire ad accettare la loro emancipazione. Il successo in questo caso sta paradossalmente nella capacità di saperli perdere, accettare di doversene separare. Lo sappiamo bene: l’avviamento dei nostri ragazzi allo sport comporta sempre l’insorgere di una reciproca distanza emotiva. E molto spesso i genitori vanno in fuorigioco. Nelle dinamiche che si instaurano alcuni mancano di sincronia, altri sbagliano il “movimento incontro”, altri ancora “rientrano in gioco” troppo tardi.  Come superare la tentazione di trattenerli oltremisura invadendo i loro spazi? Come non farsi prendere da crisi di gelosia verso l’allenatore? E, viceversa, come evitare di abbandonarli a loro stessi, “rei” solo di maggior desiderio di autonomia? Sono tutti aspetti legati all’imparare a saperli perdere, accompagnandoli verso il loro futuro. Non si tratta di un processo rapido e indolore ma di un percorso, da provare e riprovare, contraddistinto da una dinamica che si sviluppa in tre tempi. 

ACCETTARE UN TERRENO DI CONFRONTO
Prima ancora che la partita abbia inizio, le squadre si dispongono in campo. Il terreno di gioco è uguale sia per chi gioca in casa che per gli ospiti. Le misure delle porte, per esempio, non cambiano perché si è la squadra ospitante o quella ospitata. È però importante, anzi necessario, che entrambe le accettino così come sono, sono una delle condizioni del confronto. La differenza, nello sport e in educazione, la fa l’esperienza e la qualità del gioco: non il campo. Accettare il confronto significa pertanto accettare di affrontarsi sullo stesso terreno di gioco, uguale sia per i genitori che per i figli. Per un padre o una madre a volte ciò non è facile. Sono abituati a crescere i figli, non a doversi confrontare con loro. Se è pur vero che le responsabilità degli adulti sono maggiori, perché il confronto possa produrre i frutti sperati essi devono accettare di condividere lo stesso perimetro di gioco. Sviluppare la capacità di ascoltare, parlare avendo rispetto delle opinioni dei ragazzi, dare valore al loro punto di vista.

VIVERE LA PARTITA DELL’ALLONTAMENTO
Il distacco non avviene come quando si strappa un cerotto: un dolore intenso al momento che poi passa. La separazione tra genitori e figli è paragonabile a un lungo campionato fatto di molte partite, alcune delle quali si vincono, altre si perdono o pareggiano. Si tratta di giocare ad affrontare e sperimentare l’allontanamento reciproco, partita dopo partita, attaccando e difendendo a seconda delle circostanze e delle energie disponibili con le tattiche più congeniali. Ogni azione non è che un episodio, una piccola tappa del lungo cammino che porterà a separarsi. Questo consente ai genitori di comprendere meglio cosa sta cambiando in loro, come la vivono, quanto si sentono preparati, sapendo che il processo avviene ogni volta, e richiede anni di allenamento.

STRINGERSI LA MANO AL TERMINE E RI… CONOSCERSI
La separazione ed emancipazione tuttavia non sono le ultime fasi del percorso. Come accade al termine di una gara corretta, i giocatori alla fine si ritrovano al centro del campo per stringersi la mano, talvolta abbracciarsi. È un importante gesto di riconoscimento reciproco.  Saper (ri)conoscere il figlio come altro da sé è la condizione per (ri)trovarsi, e sperimentare che quanto si pensava perduto è in realtà recuperato, seppure in modo diverso. L’ultima tappa è il nuovo incontro fatto di (ri)conoscimento e gratitudine reciproci, entrambi attraverso uno sguardo diverso. Si tratta di una grandissima ricompensa che giustifica l’aver attraversato tante situazioni ed esperienza delicate, inclusi momenti di incomprensione e conflitto. 
(Fonte:allfootball)  

lunedì 23 luglio 2018

ASPETTI E CARATTERISTICHE PECULIARI DELLA CATEGORI ESORDIENTI


Pensando a un gruppo di bambini di 11-12 anni, che gioca a calcio nei vari tornei esordienti, ci vengono in mente immagini tra loro in antitesi: una rappresentata da quel bellissimo film "Il gladiatore" di Ridley Scott, dove nell'arena lottano e combattono i gladiatori, strumenti indifesi, utilizzati ad uso e consumo dei potenti; l’altra un oratorio dove un gruppo indemoniato di bambini si sfida nell’ennesima interminabile partita che nel loro immaginario vale una finale di Champions League.
Questa traslazione fantastica vuole porre l'accento, su una realtà che sovente non è a misura di bambino. Senza fare dissertazioni di natura sociologica che non ci competono, l'influenza che determina il calcio d'élite sull'ambiente che vive intorno all'evento sportivo giovanile , i genitori in primis, produce a volte, soprattutto se il fenomeno non è mediato opportunamente, qualche problema di carattere psicologico.
La mistificazione di una realtà, costruita troppe volte per soddisfare bisogni e attenuare frustrazioni tipici del mondo degli adulti, porta i bambini ad assumere comportamenti innaturali (proteste contro l'arbitro, violenze contro l'avversario, non accettazione delle scelte tecniche dell'allenatore) che conducono a dei disagi, a una mancanza di serenità e infine ad un rallentamento anche del processo di formazione tecnica.
Inoltre le sollecitazioni di natura tecnica, riprodotta su comportamenti e procedure didattiche tipiche del calcio d’èlite, contribuiscono a generare aspettative di prestazione.
I nostri giovani avrebbero bisogno viceversa di misurare le proprie qualità in un ambiente libero da condizionamenti esterni, dove la guida esperta del tecnico viene valorizzata ed apprezzata per il continuo interesse che suscita,per la quantità di entusiasmo che genera, dove spontaneità e libertà di sbagliare sono accettati come passaggio obbligato per migliorarsi socialmente e calcisticamente.
Solo così si potrà favorire un accesso non traumatico a una dimensione calcistica legata più alla performance e al risultato agonistico.
Sicuramente questa fascia d’età, soprattutto nel secondo anno d’attività, rappresenta l’inizio di un travaglio che investe la sfera psico-fisica del giovane, attraverso mutamenti che avranno ripercussioni significative sulla qualità delle prestazioni.
Il tecnico dovrà relazionarsi spesso con bambini motoriamente in difficoltà, dovrà predisporre delle fasi di recupero tecnico, e avere cura di attendere coloro che non avendo avuto un precoce sviluppo mostrano nei confronti dei più maturi difficoltà a relazionarsi agonisticamente.
Non può essere il risultato agonistico la variabile che condiziona il nostro comportamento didattico e la gestione della squadra, perché se così fosse daremmo spazio maggiormente a quei bambini che per esempio, come abbiamo sottolineato precedentemente, avendo un’età biologica e una maturità fisica anticipata ci garantiscono buoni rendimenti agonistici. Facendo così trascureremmo quei ragazzi che seppur dotati di buone predisposizioni calcistiche incontrano difficoltà ad esprimerle in gara, in relazione a difficoltà di ordine prevalentemente fisico.

sabato 5 maggio 2018

LA CATEGORIA ESORDIENTI



La categoria esordienti rappresenta, all'interno dell'organigramma della struttura giovanile federale, l'apice di una piramide definita attività di base.
La sintesi culturale di questa attività, deve avere come comune denominatore alcune definizioni o parole chiave che devono rappresentare la linea guida per coloro che si occupano di formazione e di attività sportiva infantile: gioco, divertimento, entusiasmo, passione, programmazione, cultura sportiva, professionalità.

Per molti giovani il calcio non costituisce solo il primo amore ma gli dimostrano pure una fedeltà sconosciuta ai praticanti della maggior parte delle altre discipline sportive. Infatti, da un’indagine condotta dal Settore Giovanile Scolastico della FIGC emerge chiaramente che 86,1% di 694 calciatori intervistati (11-18 anni) appartenenti alle principali società sportive ha iniziato a praticare sport proprio con il calcio senza mai impegnarsi in un'altra disciplina. Questo dato sale, inoltre, al 100% se i genitori sono in possesso della licenza elementare, mentre scende al 75% per quelli che hanno il padre laureato. In relazione alla categoria esordienti già questi risultati permettono di formulare alcune considerazioni pratiche, ma accanto a ciò va preso in considerazione un altro aspetto importante che caratterizza il calcio in questa fascia di età. Mi riferisco all’introduzione dell’11 contro 11, che avvicina sempre più i ruoli e il gioco a quello del calcio praticato nei campionati. In sintesi cosa ci dicono queste informazioni:
• lo sport per questi preadolescenti s’identifica quasi unicamente con il calcio,
• i genitori che portano i loro figli a giocare a calcio, e con maggiore frequenza quelli di livello socioculturale più basso, sono particolarmente motivati a sostenere la pratica del calcio come unico sport,
• gli istruttori e gli allenatori devono prendere in considerazione nell’organizzare l’attività che per molti bambini lo sport si è caratterizzato come esperienza monosportiva.
Dal punto di vista dei contenuti e delle modalità di organizzazione degli allenamenti diventa quindi necessario orientare le sedute non solo all’acquisizione delle competenze motorie e tecnico-tattiche specifiche per questa disciplina ma anche sviluppare tutte quelle abilità motorie che non sono tipicamente sollecitate dal gioco ma che sono essenziali a uno sviluppo globale del giovane.

I giovani esordienti che hanno partecipato a questa indagine ritengono che per diventare un calciatore di buon livello sono molto importanti le seguenti condizioni: avere fiducia in se stessi (è molto importante per l’85,5%), allenarsi molto (78,7%), fare sacrifici (70%), sapersi divertire giocando (56,7%), avere accanto persone che credono in te (52,4%) e avere un buon allenatore (50,6%). Quindi, si evidenzia che già a 11 anni questi ragazzi credono nell’impegno personale come elemento principale per avere successo nel calcio. E’ interessante notare come questi ragazzi delle medie inferiori hanno idee abbastanza precise su cosa è importante per un bambino che comincia a giocare. Si riscontra che l’81,8% pensa che sia molto importante il divertimento mentre sono poco importanti il vincere molte partite (66,9%) e il ricoprire un ruolo specifico in campo (47,96%). L’avere un bravo allenatore è molto rilevante per il 53,3% di loro. Altri aspetti che dovrebbero essere soddisfatti dall’avviamento al gioco del calcio riguardano l’essere inseriti in un buon gruppo-squadra (47,5%) e l’essere seguiti dai genitori (34,7%). Gli aspetti specifici del gioco del calcio, come imparare la tecnica calcistica e imparare a stare in campo e il giocare sempre sono considerati come necessari ma meno importanti rispetto a quelli citati in precedenza. Infine avere come punto di riferimento un campione è molto importante solo per il 21,4%: sembra in ultima analisi che l’orientamento sia quello di dare centralità alla propria persona, piuttosto che delegare ad altri meriti o responsabilità.

Il gruppo degli esordienti si caratterizza per un’ampia distribuzione dei dati che portano ad evidenziare ben nove fattori motivazionali, rispetto ai sette riscontrati nei giocatori di età superiore. Ciò dipende in larga parte dal loro sviluppo cognitivo ed emotivo che non permette ancora di fornire risposte alle 32 affermazioni del questionario in maniera così coerente come è stato invece registrato per i ragazzi di età superiore.
I fattori identificati sono i seguenti:
1) Acquisizione di status – è composto da sei motivi che identificano il desiderio di diventare famosi e popolari tramite il calcio. Si evidenzia, pertanto, che lo sport già nei più giovani viene vissuto in termini di promozione sociale e di aspirazione a raggiungere i livelli più elevati di partecipazione.
2) Rinforzi estrinseci – è composto da tre ragioni: le prime due si riferiscono al ruolo svolto dai genitori e dai migliori amici nel sostenerli nella loro attività calcistica mentre la terza riguarda il desiderio di viaggiare. Si conferma l’importanza del ruolo svolto dalle persone per loro più significative nel favorire il coinvolgimento sportivo.
3) Forma fisica – è composto da tre ragioni che esaminano il ruolo attribuito all’ottenimento e al mantenimento della forma fisica.
4) Abilità – evidenzia il bisogno di acquisire e migliorare le abilità sportive e di far parte di una squadra..
5) Aspetti della competizione – è composto dalle seguenti ragioni: gareggiare, rapporto con l’allenatore, spendere energia, essere in forma e piacere tratto dall’azione. Ognuno di questi quattro aspetti motivazionali sono tra loro correlati positivamente.
6) Amicizia – riguarda il desiderio di stare con gli amici e di farsene di nuovi a cui si aggiunge un terzo motivo relativo al fare qualcosa in cui si è bravi. Pertanto, a questa età lo stabilire relazioni di amicizia è positivamente correlato con la percezione di sentirsi competenti nel calcio.
7) Divertimento – è composto dalle tre seguenti ragioni: divertirsi, spirito di squadra e piacere tratto dalle sfide. In altri termini, il divertirsi si associa con l’appartenenza a un gruppo e alla percezione di porsi delle sfide che suscitino emozioni.
8) Esercitarsi in gruppo – è composto da due ragioni che riguardano il desiderio di fare esercizio e il lavoro di squadra. Anche in questo, si conferma che nei più giovani il gruppo è il mediatore essenziale di aspetti motivazionali fondamentali.
9) Spendere energia – è composto da tre ragioni; due si riferiscono allo scaricare il nervosismo e al desiderio di entusiasmarsi mentre la terza riguarda il piacere di stare fuori casa. Anche questo fattore motivazionale si caratterizza in termini di soddisfazione emotiva, evidenziando come l’attività calcistica si possa presentare come situazione regolatrice dell’energia psicologica individuale.
In sintesi si rileva che i giovani di questa età, come i ragazzi di età superiore, praticano calcio per un insieme abbastanza ampio di ragioni. Rispetto ai calciatori delle categorie successive si evidenzia che il bisogno di far parte di una squadra, di collaborare insieme e di avere uno spirito di squadra, che costituiscono il fattore squadra, non formano un unico fattore indipendente. In tal senso, il raggiungere obiettivi sportivi di squadra sembra non essere ancora una componente fondamentale del loro modo di vivere il calcio. Infatti, ognuna di queste tre ragioni si correla a fattori motivazionali distinti e riguardanti l’abilità sportiva, il divertimento e l’esercitarsi in gruppo. La coesione di squadra non è considerata come aspetto indipendente dagli altri e sembra che i giovani non la considerino un obiettivo da perseguire se si vuole competere con soddisfazione. Viceversa, dopo i 13 anni l’unione della squadra diventa un fattore motivazionale specifico, che viene riconosciuto dai ragazzi come uno degli elementi essenziali che li mantiene coinvolti nella pratica del calcio
Fonte:guida tecnica figc