venerdì 21 febbraio 2014

I PENSIERI DI SACCHI E PRANDELLI:

ARRIGO SACCHI:
“ sbarca a Viareggio per assistere al quarto di finale fra la Roma e la Rappresentativa di Serie D.
 Non si salvano neppure gli allenatori: «In occasione del Viareggio ho letto e sentito in televisione interviste assurde. Allenatori che parlano della propria squadra come se allenassero dei professionisti di Serie A.
Qui si pensa solo al risultato e agli espedienti tattici per conseguirlo. Si dice ai ragazzi di spazzare via per non correre rischi oppure di stare tutti dietro la linea della palla per non prendere gol. Niente di più sbagliato, a livello di settore giovanile.
Quando gli insegniamo a giocare, a prendersi dei rischi, a finalizzare l’azione attraverso la manovra corale? Bisogna riprendere in mano l’abc della tecnica, creare basi solide nei fondamentali.
Poi, attraverso il gioco, vedrai che arriveranno anche i risultati.
Invece qui si vuole tutto subito. Un allenatore spesso non è scelto o giudicato per la sua bravura e per la sua capacità di insegnamento, ma per titoli vinti. Una sciagura».”
CESARE PRANDELLI:
“anche il ct sottolinea il principale motivo delle difficoltà di crescita dei ragazzi italiani nei vivai: ''Subiscono troppe pressioni in famiglia.
E se non hanno carattere è dura emergere.
Le società puntino maggiormente sulla qualità''
Prandelli con il settore giovanile dell'Atalanta ha vinto scudetti con Allievi e Primavera oltre al Torneo di Viareggio del 1993. "Quando il presidente dell'Atalanta di allora Bortolotti mi chiamò, mi disse: “Probabilmente non crescerai nessun campione, ma con te i ragazzi almeno verranno educati”.
Quella frase mi ha formato, mi è sempre rimasta in mente. Per l'esperienza accumulata in carriera, se si vogliono sviluppare al meglio i vivai è necessario puntare sulla qualità tecnica.
Ai più piccoli è necessario fornire loro la voglia di giocare, puntando sempre e solo con esercizi sulla palla, dagli Allievi in avanti è importante inserire anche l'organizzazione. Il vivaio è un mondo speciale, che ti rimane sempre dentro. Ed è un esperienza unica".
Ma non sono tutte rose e fiori... "Il vero problema non sono i bambini ma i genitori", ammonisce "Io i genitori ho provato ad allenarli per otto mesi ma poi ho rinunciato: mettono troppe pressioni, quando invece bisogna sbagliare. Il bambino stesso è più attento a capire il proprio futuro, con l'assillo dei famigliari diventa tutto più difficile. E' vero che nelle difficoltà si forma il carattere ma è anche vero che in tal modo è più dura emergere.
E poi la figura dell'allenatore è lì apposta per decidere sulle potenzialità del ragazzo.
Le pressioni esterne non lo aiutano. Se non altro, aiutano a forgiare il tecnico. Non a caso ho sempre sostenuto che chi uscisse da un super corso di Coverciano debba obbligatoriamente passare da un settore giovanile".”

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