Capita spesso di sentir giudicare l'operato
dell'istruttore di Scuola Calcio da parte dei genitori. A volte accade
semplicemente per parlare un po' e colmare con due chiacchiere il tempo di una
partita o di allenamento. Altre volte, però, capita involontariamente di
condire questo atteggiamento con giudizi, non sempre positivi, sull'istruttore
e sul suo operato. Ora, ognuno può fare e dire ciò che vuole a patto che questo
avvenga nel rispetto degli altri, e soprattutto del proprio figlio. In tal
senso dare un giudizio sul mister di fronte a lui può rischiare di renderlo
insicuro e indeciso in campo. Questo perché se un adulto di cui il bambino si
fida ciecamente, trattandosi del proprio papà o della propria mamma, descrive
in un certo modo una persona, per lui quella è una realtà indiscutibile, non
un'opinione soggettiva di colui che la esprime. Per esempio se un bambino sente
dire da mamma o da papà: “Questa maglietta rossa non ti sta bene” lui molto
spesso non riesce a capire che si tratta di un giudizio personale. Pensa che il
rosso sia un colore che non gli si addice in modo assoluto. Così se uno dei
genitori critica l'istruttore o un compagno di squadra in virtù del suo punto
di vista, per il figlio che ascolta ciò che afferma il proprio genitore
rappresenta la verità assoluta. Dare giudizi personali su altri piccoli
calciatori o sull’istruttore in presenza del giovane atleta, rischia di
confonderlo inquinando oltretutto il rapporto che lui stabilisce con gli altri.
CRITICARE NON FA RIMA CON
EDUCARE
A volte, con troppa superficialità, dopo una partita si
tende a criticare le decisioni dell'istruttore o la prestazione della squadra.
In questi casi oltre a inquinare l’idea che il bambino si fa degli altri, si
svalorizzano dei punti di riferimento come l’istruttore o un compagno di
squadra nei quali lui crede molto. Avere intorno persone che criticano induce
per emulazione ad acquisire l'abitudine di disapprovare tutti, proiettando
spesso sugli altri le responsabilità di una sconfitta o di un evento sportivo,
come per esempio un’ammonizione, e così sfuma l'occasione di riconoscere le
proprie manchevolezze. In questo senso può capitare che invece di rendersi
conto di non aver giocato bene il bambino impari a giustificarsi adducendo
capri espiatori. Ci si abitua così a dare la colpa all’arbitro, al mister, come
si vede fare al papà o alla mamma. Un genitore che non riconosce i limiti del
figlio e ha l'abitudine di concentrarsi sulla performance di altri non fa che
rinforzare nel proprio bambino la brutta abitudine di spostare l'attenzione
altrove invece di imparare da una sana autocritica. Così facendo si elude al
giovane atleta l’opportunità di riflettere e capire dove ha sbagliato traendo
da ciò degli spunti di crescita.
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