Fantasia, creatività, esuberanza, passione,
dolcezza, entusiasmo, lealtà, sono caratteristiche tipiche della fanciullezza.
La fascia di età che va dagli 8 ai 10 anni può essere considerata un'età d'oro
per l'apprendimento, un periodo fecondo caratterizzato da una elevata
disponibilità motoria e intellettuale.
Il profilo psicomotorio
del bambino di 8 - 10 anni e le sue relazioni
L’obiettivo dell’insegnamento del calcio ai
bambini e bambine può essere riassunto nella seguente frase: muoversi - con
competenza tecnico/tattica - insieme ad altri coetanei - per raggiungere
obiettivi comuni - divertendosi.
Se questa è la prospettiva in cui inserire
l’insegnamento del calcio ne derivano alcune conseguenze operative la cui
applicazione potrebbe essere di aiuto all’azione degli allenatori e degli altri
adulti che interagiscono con questi bambini
Cosa ricercano i bambini
nel calcio
Le
motivazioni che caratterizzano i bambini in questa fascia di età sono le
seguenti: trarre piacere dall’azione sportiva, muoversi pensando, sapersi
assumere dei rischi calcolati e saper vivere in gruppo. Trarre piacere
dell’azione sportiva è estremamente importante in quanto soddisfa una delle
motivazioni che determinano il coinvolgimento sportivo: quella di
entusiasmarsi, di divertirsi e di spendere energia attraverso il movimento. Il
calcio consente di soddisfare questa motivazione attraverso allenamenti in cui
vi sia un’adeguata varietà di esercizi, alcuni di più facile esecuzione altri
più difficili, in cui i ragazzi siano costantemente impegnati, riducendo così
al minimo indispensabile i momenti di pausa o di attesa. Muoversi pensando
significa invece imparare a servirsi dei propri pensieri mentre si gioca. Avere
calciatori psicologicamente autonomi in campo dovrebbe essere l’obiettivo di
ogni allenatore, questo comporta che nei momenti di maggior pressione
agonistica questi sarebbero in grado di non perdere la testa e di
continuare a perseguire i propri obiettivi di gioco. Questo atteggiamento va
costruito nei giovani sin da quando sono bambini facendogli svolgere delle
esercitazioni in cui devono prendere delle decisioni e rinforzando non solo la
correttezza delle loro scelte ma soprattutto la capacità di operare delle
scelte. Pertanto, non deve essere insegnato ai bambini solo ad agire in
funzione delle istruzioni ricevute dall’allenatore, ma bisogna creare delle
situazioni in cui autonomamente devono risolvere situazioni di gioco.
Al muoversi
pensando, ben si collega il sapersi assumere dei rischi calcolati durante il
gioco. Sempre più spesso si sente affermare dai tecnici che i giovani
calciatori tirano raramente in porta e non sanno effettuare un dribbling. Dal
punto di vista psicologico queste sono situazioni individuali rischiose, in cui
è possibile sbagliare ed essere tacciati dagli altri di essere egocentrici o
troppo individualisti. Certamente uno sport di squadra richiede spirito di
gruppo e la capacità di lavorare per la squadra ma richiede pure espressioni
creative e la capacità di assumersi le proprie responsabilità (anche quella di
effettuare un tiro sbagliato). Il ruolo dell’allenatore è essenziale nel
favorire l’affermarsi di questa mentalità. Il bambino assumerà dei rischi se sa
che il tecnico apprezza questo modo di agire e non premia soltanto le azioni
corrette o quelle che sono state preparate in precedenza insieme alla squadra.
Bisogna, quindi, mantenere un equilibrio fra rischio individuale e gioco
collettivo e gli allenamenti devono servire a insegnare ad agire in questa
maniera. L’ultima dimensione da sviluppare riguarda la capacità di vivere in
gruppo. Il sentirsi parte di un determinato contesto sociale, in questo caso la
squadra di calcio, soddisfa uno dei bisogni primari e, pertanto, saper
rispettare le regole del gruppo, collaborare in un ambiente competitivo,
imparare ad anteporre i propri obiettivi personali a quelli della squadra sono
fra gli elementi chiave nell’educazione di ogni individuo.
Le regole
In relazione ai coetanei i bambini di 8-10 anni
preferiscono coloro che si dimostrano collaborativi e che contraccambiano ciò
che ricevono. A questa età i bambini preferiti non vengono solo più scelti in
funzione di alcune loro caratteristiche strettamente individuali (ad esempio,
la maestria nel gioco o la forza fisica) ma in base anche ad abilità
interpersonali, quali la lealtà e l’accettazione reciproca. L’allenamento
dovrebbe essere strutturato così da incentivare la collaborazione fra i
calciatori, in tal modo si favorirebbe ulteriormente l’affermazione della
capacità di mettersi nei panni degli altri, ponendo un limite a quegli
individualismi nel gioco che sono solo motivo di litigio nella squadra e che
dai bambini, in linea di massima, verrebbero risolti applicando la legge della
reciprocità: “Non hai passato la palla, adesso lo farò anch’io”. L’appartenenza
al gruppo squadra svolge un ruolo essenziale nello sviluppo della capacità di
collaborare e maggiore sarà il senso di amicizia che i bambini sviluppano
maggiore sarà la coesione in campo. Al contrario minori saranno i legami
interpersonali maggiore sarà la tendenza a non seguire le regole stabilite e
minore sarà l’accettazione dei comportamenti degli altri.
In relazione
alle regole stabilite dall’allenatore, i bambini di questa età le interpretano
meno come modalità arbitrarie di controllo e ne comprendono la motivazione e
l’utilità. Se nelle età precedenti era più abituale pensare che l’allenatore
imponeva le regole “perché è più grande, perché è più forte, perché sa
riconoscere quando diciamo le bugie” ora i bambini pensano che bisogna obbedire
“perché sa cosa è utile per noi ed è più esperto”. I bambini accettano, quindi,
le regole stabilite dall’allenatore e ne comprendono i vantaggi e, nello stesso
tempo, i tecnici per mantenere questa condizione positiva, devono comportarsi
in modo coerente con quanto hanno stabilito. Infatti, ora i fanciulli sanno
quando gli adulti non le rispettano e richiedono spiegazioni, che ovviamente
vanno fornite.
Accettare le sconfitte o
contestare l'arbitro e l'allenatore
Gli adulti (genitori, allenatore e accompagnatore)
svolgono un ruolo fondamentale nel fornire al fanciullo un sistema per
interpretare quanto succede durante la partita. Ancora troppo spesso si sentono
allenatori urlare dalla panchina contro i bambini che non eseguono le loro
istruzioni o contro gli arbitri (con maggior veemenza se è una ragazza!), o
genitori che si vogliono sostituire ai tecnici o che inveiscono contro
l’allenatore perché non fa giocare il loro figlio. In questi casi l’obiettivo è
quello di esprimere le proprie passioni, senza badare agli effetti che
producono e comunque si ha l’intenzione di offendere il ricevente. A questo
riguardo le indicazioni da seguire sono le stesse codificate dal calcio a
livello internazionale e che riguardano il fair-play e cioè la cosiddetta sportività.
A questo riguardo, i genitori devono sostenere i loro figli, mostrando una
comprensione affettuosa verso di loro, ascoltando le loro esperienze
calcistiche, sostenendo l’entusiasmo che i bambini dimostrano e chiedendogli se
si divertono. In relazione invece agli allenatori, i preferiti sono quelli
capaci di: rinforzare, incoraggiare dopo un errore, fornire istruzioni tecniche
dopo un errore, riconoscere l’impegno, organizzare l’attività in maniera
precisa e mantenere la disciplina. Al contrario, gli allenatori meno preferiti
sono coloro che con maggior frequenza forniscono: punizioni, istruzioni
tecniche date in maniera punitiva dopo un errore e non sanno mantenere la
disciplina. In sostanza i bambini vogliono imparare e migliorare le loro
competenze sportive in un ambiente che sia regolato da regole precise e in cui
si sentano psicologicamente sostenuti.
Infine, se vogliamo che i bambini imparino ad essere responsabili,
essere coraggiosi, lavorare in squadra e mantenere un elevato impegno non
possiamo permettere che imparino dagli adulti a dare la colpa dei loro errori,
di quelli della squadra e delle sconfitte all’arbitro o ad altri fattori
esterni. Più frequenti sono i comportamenti degli adulti che spiegano le
difficoltà incontrate in termini di colpe di altri maggiore sarà la probabilità
che i bambini non sviluppino quelle caratteristiche psicologiche sopra
riportate. Ad esempio, i bambini si sentiranno autorizzati a contestare
l’operato dell’arbitro se avranno visto l’allenatore (o altri adulti) agire in
quella stessa maniera.
Come vivere la partita
I bambini prima di una partita provano
sensazioni di forte curiosità verso quello che andranno a fare, vogliono
vincere, divertirsi, mostrare quanto sono bravi e non vedono l’ora che inizi.
L’obiettivo degli adulti, dall’accompagnatore al genitore e all’allenatore
dovrebbe essere quello di sostenere questo clima positivo e ricco di energia
psicologica, senza trasformare quella partita in una finale della Coppa del
Mondo. Gli allenatori dovranno trasmettere ai loro bambini la convinzione che
la squadra nel suo complesso riuscirà, con il proprio impegno collettivo, a
soddisfare le motivazioni di ognuno di loro.
Inoltre, la partita dovrebbe servire per
comprendere come ogni bambino vive l’errore; come qualcosa da nascondere e di
cui giustificarsi o come l’unica opportunità di miglioramento? Una valutazione
di quale atteggiamento e reazione determina l’errore consentirebbe di allenare
in seguito i bambini ad assumere un approccio più corretto. Un suggerimento:
prima di mettere in atto questo processo l’allenatore dovrebbe chiedersi: “sono
consapevole di come vivo i miei errori e di come reagisco a quelli della
squadra? C’è qualcosa che voglio fare per migliorarmi?”
Aspetti peculiari del
bambino di 8 - 10 anni
bambini a questa età hanno superato la fase
spiccatamente egocentrica che ha caratterizzato il loro comportamento nell'età
precedente. Cominciano ad acquisire una predisposizione alla collaborazione e a
decentrare la qualità delle loro azioni motorie, che vengono inserite in un
contesto di gioco collettivo; in altre parole le esigenze della squadra
cominciano a porsi in una posizione gerarchica non subalterna rispetto
all'individualismo, centro in passato dei loro comportamenti.
Questo predispone il piano didattico a concepire
l'insegnamento tecnico in un contesto applicativo, dove il rapporto con la
palla è regolato sul piano cognitivo da afferenze di natura situazionale. La
natura degli esercizi proposti sarà caratterizzata da un ambiente in continuo
divenire, i parametri spazio e tempo dovranno sollecitare continui adattamenti.
Le chiavi comportamentali tecniche, disponibili a
creare adattamenti efficaci, non saranno poste come avveniva anni fa’ su un
versante esclusivamente di natura biomeccanico, ma dovranno risultare
funzionali, in una dialettica dove qualità del gesto e applicabilità dello
stesso interagiscono e si integrano.
Questo sta a significare che pur predisponendo nella didattica momenti
nei quali l’allievo dovrà mostrare attenzione sul come eseguire un fondamentale
tecnico, sarà prevalente nell’insegnamento un’attività spiccatamente
situazionale.
L’esempio mostrato nella Figura 16, definisce il
comportamento tecnico del passaggio in un contesto di gioco estremamente
semplificato dove il giocatore in possesso di palla dovrà stare attento non
solo alle modalità di esecuzione, ma anche al quando
eseguire il passaggio e al dove indirizzarlo, in
relazione al movimento di smarcamento del compagno e al movimento del difensore
posto su una linea (situazione semplificata)
Principi di base per la
programmazione nella categoria Pulcini
La programmazione che andremo a strutturare, avrà come
riferimenti i tre grandi parametri che interagiscono nell’ambito della
prestazione di gioco: tecnico, tattico e fisico.
Sul piano tecnico, i grandi obiettivi da raggiungere,
riguardano le condotte tecniche fondamentali, gli strumenti operativi
essenziali che durante il gioco permettono la risoluzione di problemi tattici.
Favorire un migliore comportamento tecnico, sta a
significare che l’itinerario formativo, non avrà uno sviluppo esclusivamente
mirato all’acquisizione di un preciso modello, ma dovrà subire sollecitazioni
dove “ostacoli “ di natura coordinativa implicheranno continui adattamenti.
Allo stesso modo l’esecuzione delle varie gestualità, riceveranno
sollecitazioni di natura spazio-temporale riferita alla ricerca di rapidità,
alla presenza di avversari, in una situazione di maggiore o minore complessità,
in funzione del grado di abilità acquisito. Il versante tattico in stretta
congiunzione con l’ambito tecnico, e non potrebbe essere altrimenti vista la
natura del gioco, si mostrerà più attento a costruire comportamenti di
collaborazione, che in fase di possesso e di non possesso palla, risultano
regolatori fondamentali dei comportamenti collettivi. Ci riferiamo per esempio
a concetti di appoggio, sostegno, passaggio a muro oppure di posizionamento
difensivo, copertura dello spazio, movimenti verso l’avversario in possesso di
palla. Tutti questi comportamenti andranno sollecitati attraverso una continua
ricerca che si svilupperà attraverso il gioco, dove l’intervento
dell’istruttore sarà quello di generare entusiasmo, curiosità, esplorazione; il
bambino dovrà in forma autonoma trovare soluzioni efficaci sollecitando il suo
“impianto” cognitivo a generare continue soluzioni. Non dobbiamo confezionare per lui comportamenti
stereotipati, suggerendo continuamente quali azioni compiere, ma dovremmo
contribuire alla formazione di quell’autonomia che risulterà fondamentale a
fargli trovare soluzioni efficaci in gara. Per quanto riguarda lo sviluppo
della componente fisica, non dobbiamo assolutamente pensare alla preparazione
atletica che svolgono gli adulti; spesso si tende ad imitare quello che fanno i
grandi proponendo esercitazioni a carattere fisico, che rischiano di produrre
danni all'impianto scheletrico del bambino in via di accrescimento. Sicuramente
andranno proposti giochi di rapidità curando particolarmente la frequenza dei
movimenti, si presterà attenzione ad esercitazioni dove il bambino dovrà
rispondere rapidamente (capacità di reazione) a stimoli di natura visiva o
acustica, la componente aerobica andrà sollecitata attraverso il gioco,
evitando tra l'altro troppi tempi morti all'interno della lezione (eccessive e
inutili spiegazioni, lunghe file di attesa). Il piano
di lavoro annuale dovrà essere concepito attraverso una scansione temporale
dove risulterà chiaro come i vari anelli della formazione siano gerarchicamente
predisposti al fine di costruire e sollecitare comportamenti tecnici e tattici
adeguati all’età. L’istruttore dal punto di vista metodologico più che dirigere
e impartire ordini, dovrà osservare per modificare eventualmente metodo e
contenuto; suo compito sarà quello di creare un ambiente ricco di motivazioni,
suscitando nei bambini interesse e piacere nell’allenamento. Non dovrà
utilizzare nella correzione degli errori reiterati comportamenti
disapprovativi, questi producono ansia, sfiducia e disattivano ogni spinta che
nel bambino è naturalmente presente a migliorarsi. Viceversa nella correzione
degli errori, deve valorizzare la parte fatta bene e poi spostare il suo
intervento per correggere la parte fatta male. Inoltre non dobbiamo
considerarlo un adulto in miniatura e coerentemente a quanto viene proposto
durante l’allenamento, anche il modello di gioco (dal 5c5 al 9c9) si struttura
su spazi e numero di giocatori ridotti, “come un vestito che cresce insieme a chi lo indossa ” anche la struttura del gioco cambia coerentemente
alle disponibilità psico-fisiche del bambino . Uno spazio e numero di giocatori
adeguato consente un loro maggior coinvolgimento, un più elevato numero di
contatti col pallone, un maggior dinamismo tra fase di possesso e non possesso,
un maggior numero di conclusioni a rete.
Gli obiettivi didattici
Come le strutture di gioco si modificano, così anche
gli obiettivi didattici e i percorsi formativi hanno un itinerario conforme
alle esigenze del bambino.
Nella Tabella 12 viene
illustrato sinteticamente l’excursus didattico proposto nel corso dei tre anni
dell’attività pulcini. Il patrimonio motorio acquisito consentirà al giovane
calciatore di misurarsi efficacemente ed adeguatamente col gruppo dei pari, gli
consentirà di esprimersi in maniera creativa e personale, collocandolo al
centro della programmazione didattica. Un siffatto piano sarà in grado di
garantire ad ognuno la possibilità di esprimere compiutamente le proprie
potenzialità, non obbligandolo a diventare un campione ma allo stesso tempo non
privandolo del sogno di poterlo, chissà, un giorno diventare.
Fonte:guida tecnica figc
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