domenica 29 dicembre 2013

LATERALIZZAZIONE E AMBIDESTRISMO:

Per chi si occupa di sport è facile rilevare osservando gli atleti che ognuno di loro, relativamente al tipo di sport praticato, preferisce agire con un arto rispetto ad un altro.
Oppure, nel caso di specialità sportive come la corsa, il salto, si ottengono maggiori prestazioni scegliendo e differenziando fra destro e sinistro, il piede di stacco da terra o di spinta nella partenza di uno sprint. Ancora altre espressioni di lateralizzazione nello sport, avvengono quando l’atleta sceglie il senso di rotazione che coinvolge evidentemente anche la scelta del piede di stacco.
Questa particolarità, che non si riscontra solo nel mondo sportivo, ma anche in altri ambiti del lavoro ecc., rientra nelle caratteristiche genetiche dell’individuo, cioè fanno parte di quel corredo cromosomico trasmesso dai genitori (ereditarietà).
Tuttavia alcuni studi hanno verificato che tale teoria non viene riscontrata nella totalità delle persone, ed è per questo che alcuni autori si rifiutano di accettare senza riserve tale assunto, portando avanti la tesi che è l’ambiente sociale (pre impostato) che condiziona l’evoluzione dei comportamenti e perciò anche la specializzazione funzionale di una dominanza laterale rispetto a quella controlaterale.
Ciò sia a carico degli arti superiori che per quelli inferiori.
Normalmente, per circa il 90% e 75% rispettivamente per mani e piedi, il lato dominante è quello destro. In alcune discipline sportive, coloro che escono da questo trend di maggioranza, cioè quelli nei quali prevale l’uso del lato sinistro, spesso riescono ad ottenere maggiori risultati.
Ciò avviene per esempio, nel pugilato, nella scherma, nel tennis, dove il mancino rappresenta una deviazione dalla normalità tecnica meno controllabile, contro la quale occorre un maggior tempo di adattamento.
Negli sport di squadra in genere l’ambidestrismo sembra essere la condizione più favorevole.
In effetti nel calcio risulta molto più difficile prevedere cosa stia per fare un giocatore, se egli è in grado di eseguire lo stesso gesto, con la stessa qualità sia con il lato destro del corpo che con il lato sinistro.
Ma come ci si deve comportare con i bambini?
Uno degli aspetti più interessanti di tali problematiche riguarda quel processo neurofisiologico chiamato “transfert controlaterale”. In poche parole ciò significa che esercitando un arto da un lato (p.e. il piede destro), si possono osservare apprezzabili adattamenti anche nell’altro lato (piede sinistro).
Questo fenomeno si realizza attraverso dei collegamenti a livello neuronale che pongono in corrispondenza i due emisferi cerebrali e conseguentemente i due emicorpi.
Da alcuni lavori scientifici sul problema, sembra che il transfert risulti più “potente” dal lato debole verso quello dominante, che non viceversa.
Quindi allenarsi con il piede destro significa, anche se con diversa entità, esercitarsi a livello nervoso (programma motorio e connessioni ai vari livelli del sistema nervoso centrale) anche con il sinistro.
Sul piano coordinativo quindi si struttureranno opportuni pattern di movimento per poter eseguire il gesto anche con l’altro piede.
Da rilevare che questo aspetto non si riscontra solo per ciò che riguarda le capacità coordinative o le abilità tecniche. Infatti la trasferibilità degli adattamenti neuromuscolari dovuti ad esercizio la si rileva anche nella produzione di forza muscolare.
Tuttavia l’esercizio diretto produrrà evidentemente i maggiori incrementi di prestazione motoria. Nei bambini inizialmente si cercherà di far strutturare l’esecuzione di uno schema di movimento facendo maturare l’esperienza con l’arto dominante.
Questa prassi anche per proiettare a livello corticale una immagine corretta del movimento. Successivamente, l’utilizzo di metodiche che favoriscono l’ambidestrismo sembrano in genere risultare le più efficaci.

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