Per chi si occupa di sport è
facile rilevare osservando gli atleti che ognuno di loro, relativamente al tipo
di sport praticato, preferisce agire con un arto rispetto ad un altro.
Oppure, nel
caso di specialità sportive come la corsa, il salto, si ottengono maggiori
prestazioni scegliendo e differenziando fra destro e sinistro, il piede di
stacco da terra o di spinta nella partenza di uno sprint. Ancora altre
espressioni di lateralizzazione nello sport, avvengono quando l’atleta sceglie
il senso di rotazione che coinvolge evidentemente anche la scelta del piede di
stacco.
Questa
particolarità, che non si riscontra solo nel mondo sportivo, ma anche in altri
ambiti del lavoro ecc., rientra nelle caratteristiche genetiche dell’individuo,
cioè fanno parte di quel corredo cromosomico trasmesso dai genitori
(ereditarietà).
Tuttavia
alcuni studi hanno verificato che tale teoria non viene riscontrata nella
totalità delle persone, ed è per questo che alcuni autori si rifiutano di
accettare senza riserve tale assunto, portando avanti la tesi che è l’ambiente
sociale (pre impostato) che condiziona l’evoluzione dei comportamenti e perciò
anche la specializzazione funzionale di una dominanza laterale rispetto a
quella controlaterale.
Ciò sia a
carico degli arti superiori che per quelli inferiori.
Normalmente,
per circa il 90% e 75% rispettivamente per mani e piedi, il lato dominante è
quello destro. In alcune discipline sportive, coloro che escono da questo trend
di maggioranza, cioè quelli nei quali prevale l’uso del lato sinistro, spesso
riescono ad ottenere maggiori risultati.
Ciò avviene
per esempio, nel pugilato, nella scherma, nel tennis, dove il mancino
rappresenta una deviazione dalla normalità tecnica meno controllabile, contro
la quale occorre un maggior tempo di adattamento.
Negli sport
di squadra in genere l’ambidestrismo sembra essere la condizione più
favorevole.
In effetti
nel calcio risulta molto più difficile prevedere cosa stia per fare un
giocatore, se egli è in grado di eseguire lo stesso gesto, con la stessa
qualità sia con il lato destro del corpo che con il lato sinistro.
Ma come ci
si deve comportare con i bambini?
Uno degli
aspetti più interessanti di tali problematiche riguarda quel processo
neurofisiologico chiamato “transfert
controlaterale”. In poche
parole ciò significa che esercitando un arto da un lato (p.e. il piede destro),
si possono osservare apprezzabili adattamenti anche nell’altro lato (piede
sinistro).
Questo
fenomeno si realizza attraverso dei collegamenti a livello neuronale che
pongono in corrispondenza i due emisferi cerebrali e conseguentemente i due
emicorpi.
Da alcuni
lavori scientifici sul problema, sembra che il transfert risulti più “potente”
dal lato debole verso quello dominante, che non viceversa.
Quindi
allenarsi con il piede destro significa, anche se con diversa entità,
esercitarsi a livello nervoso (programma motorio e connessioni ai vari livelli
del sistema nervoso centrale) anche con il sinistro.
Sul piano
coordinativo quindi si struttureranno opportuni pattern di movimento per poter
eseguire il gesto anche con l’altro piede.
Da rilevare
che questo aspetto non si riscontra solo per ciò che riguarda le capacità
coordinative o le abilità tecniche. Infatti la trasferibilità degli adattamenti
neuromuscolari dovuti ad esercizio la si rileva anche nella produzione di forza
muscolare.
Tuttavia
l’esercizio diretto produrrà evidentemente i maggiori incrementi di prestazione
motoria. Nei bambini inizialmente si cercherà di far strutturare l’esecuzione
di uno schema di movimento facendo maturare l’esperienza con l’arto dominante.
Questa
prassi anche per proiettare a livello corticale una immagine corretta del
movimento. Successivamente, l’utilizzo di metodiche che favoriscono
l’ambidestrismo sembrano in genere risultare le più efficaci.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.