Gli
allenatori giovanili debbono conoscere le basi pedagogiche dell’insegnamento
per poter assicurare che il progetto didattico arrivi al destinatario e
realizzi positivi adattamenti.
In realtà
colui che si appresta a svolgere una così delicata funzione dovrà saper
integrare le sue conoscenze (competenze) con la capacità di adattarle alle
esigenze degli allievi. Al fine di ottenere un'effettiva crescita delle abilità
dei giovani. L'organizzazione delle attività però dovrà sempre far riferimento
a criteri ben precisi e cioè ai metodi applicativi. Ma cerchiamo di capire cosa
si intende per metodo. "Esso è un procedimento logico e mentale o
culturale o tecnico o pratico che segue un percorso. Esclude pertanto ogni
improvvisazione empirica e generica e presuppone una ricerca delle condizioni
ottimali, di un qualsiasi insegnamento, che viene intrapresa sul piano della
didattica pedagogica, e successivamente tradotta sul piano della metodica
specifica”.
In questa
sede non vogliamo soffermarci sulle varie classificazioni, sui metodi didattici
che ampiamente sono riportati nelle trattazioni specializzate, ma cercheremo di
far riferimento alla nostra effettiva esperienza che scaturisce da decenni di
attività nei settori giovanili.
Il nostro
approccio (Singer, 1984 in
D’Ottavio 1994) si basa essenzialmente sulla consapevolezza di alcuni elementi
fondamentali che guidano quotidianamente il lavoro sul campo:
• la
complessità del compito, intendendo
per essa il numero delle informazioni sensoriali, la variabilità dell'ambiente
di gioco, e i collegamenti con la memoria;
• I'organizzazione
del compito, si
riferisce alle difficoltà tecnico-coordinative e quindi al sincronismo o
all'eterocronismo dei vari elementi che compongono il gesto o l'azione, riguardante
le risposte motorie in genere.
Ad esempio
per fronteggiare un problema che presenta:
•
complessità del compito scarsa
•
organizzazione del compito facile
potranno
essere utilizzati metodi che tengano più conto della totalità del gesto e non delle
sue particolarità (metodo globale); per contro invece, nel caso ci si trovi ad
affrontare una situazione che presenta caratteristiche di:
•
complessità del compito elevata
•
organizzazione del compito con difficoltà medio-alta.
L'approccio
dovrà essere impostato per sequenze (metodo analitico), verificando
costantemente sia le particolarità che i collegamenti, senza perdere però di
vista l'insieme gestuale o comunque l'azione nella sua espressione globale.
Deve essere tenuto in considerazione che l'approccio analitico e quello globale
possono essere proposti dall'insegnante procedendo con modalità e forme di
rapporto con gli allievi sostanzialmente diverse:
1. l'allievo viene sollevato totalmente o
parzialmente dal fornire interpretazioni personali del problema. È l'insegnante
che decide per lui (procedura deduttiva).
2. l'allievo viene coinvolto nell’elaborare una
propria idea a proposito del problema da risolvere, e si procede per prove e
tentativi (procedura induttiva).
Il primo
crea adattamenti più corretti e rapidi e ci sembra più favorevolmente correlato
ad abilità sportive di tipo "chiuso" (closed
skills). Il secondo, basato su una dimensione
creativa dell'allievo, può essere considerato come una forma di investimento
nel medio periodo, dato che inizialmente sembra allentare i processi di
automatizzazione, ma in seguito permette una migliore trasformazione e un
proficuo collegamento verso apprendimenti successivi. Questo procedimento è
sicuramente più adatto ad abilità sportive di tipo "aperto" (open
skills) e quindi decisamente
consigliabile nella pratica calcistica.
Esperienze
dirette su cui sono state utilizzate le citate metodologie su due gruppi
campione di bambini di 11 anni praticanti il calcio presso la Scula Calcio Federale
dell'Acquacetosa di Roma, dopo un anno di attività (s.s. 1992) hanno fornito le
seguenti indicazioni:
• la pratica
del metodo guidato
(relativamente all’esecuzione individuale dei gesti tecnici) ha prodotto
considerevoli miglioramenti sia con i soggetti che inizialmente mostravano già
di possedere un buon livello tecnico sia con quelli inizialmente poco
competenti;
• la pratica
del metodo del problem solving ha condotto
a un sostanziale miglioramento dei soggetti con maggiore insufficienza tecnica
e un minore ma comunque ragguardevole incremento sui bambini già tecnicamente
dotati.
Questa
nostra esperienza conferma in parte quanto affermato da Singer nel suo studio,
e cioè che l'utilizzazione di metodi più direttivi produce sicuramente maggiori
profitti tecnici in una visione a breve termine, ma potrebbe condurre ad una
stasi o comunque a degli impedimenti nelle situazioni in cui l'allievo viene a
trovarsi a risolvere delle problematiche di gioco inusuali e impreviste.
Una pratica
che coinvolga l'allievo sul piano della creatività personale e della
partecipazione attiva offre maggiori opportunità espressive e quindi una
maggiore potenzialità all'adattamento. Ciò è anche confermato da una nostra
ulteriore esperienza: ad un gruppo di bambini di 9/10 anni per circa quattro
mesi di lavoro con frequenza bisettimanale, sono state impartite unità
didattiche utilizzando esclusivamente metodi che prevedevano la soluzione di
problemi. La programmazione didattica prevedeva che alla fine di questo primo
ciclo dell'anno i bambini avessero disputato esclusivamente partite giocate 7
contro 7 oltre alle
altre esercitazioni e situazioni di gioco a carattere formativo. Quindi abbiamo
invitato alcune società a disputare degli incontri amichevoli con le nostre
rappresentative giocando però 11 contro 11. Una volta
spiegata la nuova impostazione numerica di gioco e le diverse possibilità
tattiche i bambini, superati i primi cinque minuti di evidente adattamento,
sembravano aver sempre giocato ad undici, confermando quanto era inizialmente
nella nostra ipotesi sperimentale.
Per
controllare l'andamento del programma didattico seguendo la logica temporale,
abbiamo suddiviso l'intero periodo (anno sportivo) in tre fasi o
periodi didattici, proponendoci
il raggiungimento di determinati obiettivi intermedi.
Il metodo
utilizzato per raggiungere tali obiettivi, e il cosiddetto "metodo
misto", realizzato attraverso
l'utilizzo del metodo induttivo (problem solving), e del metodo deduttivo
(apprendimento guidato).
LINEAMENTI
PRATICI E STRATEGIE OPERATIVE
Compito di ogni istruttore è anche quello di evidenziare,
(correggere e valorizzare) il risultato di ogni azione o gesto dell’allievo,
poiché il miglioramento avviene attraverso la presa di coscienza dei successi e
degli insuccessi.
La prima
domanda che ogni allenatore deve affrontare è quando deve intervenire. Infatti
poniamo che un giovane calciatore, in una esercitazione, commette un errore;
per eliminarlo, indichiamo una sequenza ragionata:
1. osservazione e identificazione dell'errore;
2. decisione se intervenire o no (qualità
dell'errore, sua importanza ai fini dell'apprendimento del gesto) in considerazione
del livello del giovane calciatore e delle caratteristiche personali del
ragazzo (lento nell'apprendere, timido, ecc.).
Se la
decisione è di intervenire:
a) rinforzare l’impegno e quanto di corretto vi
è stato nell’esecuzione;
b) fornire un’istruzione tecnica correttiva
specifica;
c) in presenza di una "ripetizione"
osservare l'esecuzione;
d) in presenza di una informazione specifica, osservare il ragazzo:
osservare se si tratta di una risposta istintiva o se il movimento e stato
appreso;
e) osservare in ambedue le scelte come il
ragazzo ha usato l'intervento.
Vogliamo
ancora sottolineare che per ogni apprendimento è importante capire quello che è
successo cioè sfruttare il feed-back (la risposta sensoria, la percezione
motoria dell'azione eseguita). Una performance non si migliora senza il
feed-back.
Il secondo
modo d’intervenire è quello che consiglia l'istruttore di partire dalle
situazioni concrete di cui servirsi per iniziare la sequenza didattica.
I momenti
sono tre:
1. illustrazione, spiegazione, fare vedere o, mentre si spiega, fare
vedere la situazione; preoccuparsi che l'obiettivo sia ben compreso;
2. "osservazione dello svolgimento"
cercando di verificare: i problemi che ci sono e se questi sono legati a
deficienze individuali o collettive o a entrambe; le cause e se queste
dipendono da problemi tecnici, relazionali o affettivi;
3. "intervento" chiarendo attraverso l'autovalutazione
effettuata dai giovani calciatori quali sono i problemi, introducendo modelli
diversi, analizzando le strategie e infine modificando la situazione, per
ricominciare il percorso da una situazione modificata.
Un ultimo
principio da aggiungere, e al quale ogni istruttore si deve attenere, riguarda:
dare un titolo ad ogni proposta operativa, affermando all’inizio di ogni seduta
d’allenamento: "oggi faremo"; abbiamo constatato che la semplice
titolazione aumenta di più del doppio la comprensione dell'argomento.
Il compito
didattico dell'istruttore inizia dalla spiegazione della situazione concreta che
dovrà essere affrontata durante l’esercitazione. I mezzi più usati sono: il
modello e la spiegazione verbale, oppure l’integrazione fra le due modalità.
Crediamo opportuno precisare che:
Guardare non è osservare: bisogna che ogni istruttore indichi ai giovani
calciatori "cosa osservare" e indicare, secondo il livello, solamente
le cose importanti. L'esecuzione deve essere eseguita prima al ritmo giusto,
poi più lentamente.
Parlare non è spiegare: se
l'istruttore usa il linguaggio come mezzo didattico deve focalizzare
l'obiettivo in maniera semplice ma precisa.
Se dimostra e spiega
contemporaneamente: deve curare
particolarmente la parte verbale costruendo frasi brevi con obiettivi semplici.
É stato infatti osservato che, in queste situazioni, la spiegazione verbale è
"sempre incompleta e poco precisa".
Di fronte ad
una "esecuzione errata" di qualche giovane calciatore, l’istruttore
deve pensare che ci può essere un errore di comunicazione, e preoccuparsi di
cambiare immediatamente approccio.
Esempio: un
giovane non riesce ad eseguire in maniera corretta il movimento delle braccia
nello stop di petto. Dopo che l’istruttore ha fatto vedere il movimento e lo ha
spiegato, la possibilità che gli rimane per far raggiungere il successo
all'allievo è quella di cambiare strategia di approccio; può allora far
"sentire" il movimento esatto facendolo eseguire passivamente
(approccio cinestesico). Per aumentare la sensibilità il principio è quello di
intervenire "toccando" le articolazioni interessate (intervento tattile).
È prassi che nelle fasi iniziali dell’apprendimento si usi far sentire la zona
interessata attraverso il contatto col pallone; ad esempio il punto esatto
dell'interno piede nel caso del calcio specifico; le mani per far apprendere la
presa del portiere (sono esempi di uso delle vie tattili per raggiungere
l'apprendimento di un gesto). Altri fanno presa sull'anca, muovono, come un
pendolo, la gamba svincolata e chiedono di sentire il movimento.
Sempre
determinante per l'apprendimento è il clima che esiste nel gruppo: se è
positivo diventa un alleato importante per il passaggio delle informazioni tra
istruttore/allievi e allievi/allievi, se è negativo diventa un ostacolo.
Caruso in
una ricerca fatta nel 1980
ha catalogato due tipi di allenamento descrivendo i
fattori che creano il "clima emotivo".
• Il primo
esempio si potrebbe definire: una lezione partecipata attiva con un clima
emotivamente caldo.
• Il secondo
esempio invece è una lezione in cui predomina la noia e il disinteresse (clima
emotivamente freddo).
La risposta
dei ragazzi è nel primo esempio la partecipazione, nel secondo il distacco.
Analizzando i contenuti e le diversità possiamo affermare che non sono le
innovazioni né le dimostrazioni (vengono poco avvertite) che determinano le
variazioni di clima, ma la partecipazione, la motivazione ad apprendere,
l'incoraggiamento.
Un tipo di
allenamento che abbia come caratteristica quella descritta nel primo esempio è
un’esperienza per la quale l'attività sportiva diventa una occasione importante
e interessante da vivere. Nel secondo caso, l'esperienza perderà di significato
e prima o poi sarà abbandonata.
Sia le
parole che il silenzio hanno un valore di messaggio: influenzano gli altri e
costoro, a loro volta, possono non rispondere a queste comunicazioni. Una sola
unità di informazione è chiamata messaggio. Ogni messaggio contiene una notizia
e un comando. Un esempio di messaggio: "è importante che tu spinga sulla
gamba"; oppure "spingi sulla gamba". Sono due frasi che danno la
stessa informazione ma con due diversi comandi.
Ogni
rapporto tra istruttore e giovane calciatore varia a secondo della percentuale
tra notizia e comando; ogni variazione di messaggio fa presupporre una
variazione nel rapporto. Ad esempio nel primo caso t’informo su come devi
effettuare un tiro, mentre nel secondo ti sto dicendo che devi farlo in quel
modo.
Nelle
strategie di rapporto tra istruttore-gruppo e allenatore-squadra l'impostazione
viene data anche dal come il tecnico si mette in comunicazione con i ragazzi.
Definiamo,
come esempio, due figure di allenatori.
Allenatore autoritario: l'impostazione che offre con il linguaggio
(anche del corpo) impone un certo tipo di rapporto in cui abbondano i comandi
rispetto alle informazioni. Nel gruppo i rapporti sono impostati su un rispetto
formale.
Il rapporto
non prevede possibilità di compiere degli errori, se qualcosa non funziona (la
squadra perde), la colpa è sempre degli altri (arbitro, giocatore X o Y,
sfortuna); ma anche durante l'allenamento se il ragazzo non migliora, la colpa
è senza dubbio del ragazzo.
Il limite di
questo tipo di rapporto sta nel fatto che se viene meno in maniera abbastanza
costante il successo, il nemico esterno non è più sufficiente, allora il
rapporto finisce e l'autorità viene messa in dubbio. Dobbiamo dire però che fin
quando tutto va bene, gli obiettivi proposti vengono raggiunti facilmente.
Allenatore autorevole: nel rapporto verbale le informazioni saranno
superiori ai comandi. Deve sapere far accettare le sue competenze, e potranno
sorgere nel gruppo conflittualità o disordini più apparenti che sostanziali
perché il rapporto è meno formale. Dato che è importante "imparare
ragionando", un rapporto in cui le individualità non vengono schiacciate
dall'"Allenatore-Padrone", determinerà a lungo termine risultati
superiori.
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Le strategie
facilitanti il rapporto istruttore-giovane calciatore sono:
• Mettersi
nella condizione di avere più possibilità d’intervento (non trovarsi mai nella
situazione di avere una sola soluzione);
• non essere
sempre valutativi;
• non essere
classificatori.
Cioè non
dire: "devi fare così e basta" ma "credo che tu debba fare
così"; non dire "non capisci nulla" ma "dovresti fare...";
non dire "guarda gli altri, non vedi come sono più bravi" ma
"bene, cerca però di evitare...".
Una volta
che gli istruttori si sono preoccupati di aver dato le informazioni nel miglior
modo possibile, il loro compito non si è esaurito. Infatti non è detto che sia
sufficiente dare uno stimolo corretto perché questo produca un cambiamento e
tanto meno che questo sia nella direzione desiderata.
Le proposte
devono essere adeguate e l'istruttore lo nota attraverso le risposte dei
giovani calciatori. In un piano di "allenamento" le proposte per
l'apprendimento di un gesto vanno dosate sulle risposte degli allievi.
Ma le
proposte sono importanti e la loro adeguatezza determinante:
L'intervento
didattico (la correzione) è inefficace se le richieste non rispettano
i livelli di apprendimento.
Ad esempio,
se un giovane sta imparando il calcio di esterno piede, non possiamo chiedere
la precisione del tiro. Ogni fase di apprendimento ha le sue caratteristiche.
Questi due
concetti rappresentano altrettanto importanti principi pedagogici che devono
caratterizzare continuamente la programmazione didattica dei bambini delle
Scuole Calcio, in special modo dai 6 ai 9-10 anni.
Essi stanno
ad evidenziare che l’allievo dovrà ampliare il più possibile la propria
dotazione base di conoscenze dei movimenti, cercando di arricchire,
quantitativamente e qualitativamente, lo scarso potenziale di esperienze di cui
può disporre un bambino di 6-7 anni.
I principi
didattici di polivalenza e multilateralità devono
ovviamente essere intese in riferimento al carico di attività cui i bambini
vengono sottoposti. Per cui, anche praticando un'attività motoria che utilizzi
gesti ed azioni del gioco del calcio, l'insegnante dovrà comunque non
trascurare questi due aspetti.
Polivalenza significa
che le attività devono essere adattate in maniera tale da interessare le
diverse aree di sviluppo della personalità dell'individuo:
• area
intellettivo-sociale
• area
morfologico-funzionale
• area
motoria
Da ciò
deriva che il presupposto basilare affinché il coinvolgimento dell'alunno
presenti una valenza polidirezionale, sarà che i contenuti delle lezioni
dovranno essere scelti in funzione dello sviluppo delle tre aree sopraelencate
e quindi utilizzando, a discrezione dell'insegnante, le metodologie più
indicate.
Multilateralità, al
contrario di unilateralità, è il principio secondo il quale le attività fisiche
non devono limitarsi ai caratteri presenti in un solo specifico sport, ma allo
scopo di migliorare la motricità generale, devono utilizzare gesti ed azioni di
altre discipline sportive.
Solo
procedendo così, gli allievi potranno: sviluppare maggiormente le capacita
motorie; strutturare una vasta gamma di schemi motori di base, sia statici che
dinamici; affinare e riadattare continuamente lo schema corporeo (in relazione
allo sviluppo morfologico); consolidare la lateralità, anche e soprattutto in
funzione di costruirsi capacità di ambidestrismo.
Ci sembra
allora opportuno evidenziare che il calcio, in fase di avviamento sportivo, è
solo uno dei tanti mezzi per raggiungere questi obiettivi, mentre la formazione
di abilità specifiche si costruisce in un secondo momento (11-12 anni) e solo
sulla scorta di esperienze motorie che siano state le più ricche possibili.
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